Musica ad alto volume, quando può dirsi provato il reato?
Non è raro che ascoltare la musica al alto volume possa portare con sé degli inconvenienti nei rapporti con i vicini e nei casi più gravi ad una condanna penale.
Esiste
un articolo del codice penale, il numero 659, che esplicitamente
sanziona chi disturba le occupazioni o il riposo delle persone anche
mediante abuso di strumenti sonori.
Insomma può incappare in una condanna penale, che nei casi più gravi può arrivare fino all'arresto di tre mesi, oltre ad una sanzione pecuniaria, chi ascolta la musica ad alto volume disturbando il sonno o comunque il riposo dei vicini oppure ciò che essi fanno.
In
più occasioni, da queste pagine, abbiamo dato conto di sentenze
riguardanti condanne penali per disturbo delle occupazioni delle
persone.
La pronuncia di cui ci interessiamo in questo articolo è
particolarmente interessante in quanto fissa una serie di elementi utili
a considerare quando possa dirsi provata la commissione del reato di cui all'art. 659 c.p.
Il riferimento è alla sentenza n. 55096 della Corte di Cassazione penale
(Terza Sezione), depositata in cancelleria il 19 dicembre 2016 a
seguito di discussione all'udienza del 19 maggio del medesimo anni.
Prima di entrare nel merito è utile rammentare, come d'altra parte la stessa sentenza n. 55096 ha fatto, che il reato di Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone può dirsi consumato quando si reca danno o comunque si può potenzialmente recarlo ad un numero indiscriminato di persone, non essendo sufficiente il mero disturbo di un solo vicino.
Si badi: trattandosi di contravvenzione,
il reato è punito sia a titolo di dolo, quanto a titolo di colpa e
trattandosi di reato di pericolo non è necessario un effettivo danno,
essendo bastevole che la condotta tenuta sia idonea a cagionarlo.
Come
dire: se a ferragosto tengo la radio accesa a tutto volume e si sente
dall'inizio della strada, anche se non disturbo nessuno potrei comunque
incorrere in una contestazione per la violazione dell'art. 659 c.p.
Come provare l'avvenuta consumazione del reato?
È anche di questo aspetto che s'è occupata la Suprema Corte con la sentenza n. 55096. Nel caso di specie, infatti, le uniche fonti di prova erano rappresentate dalle lamentele dei condòmini
che avevano chiesto l'intervento dei Carabinieri – a seguito del quale
era partita la segnalazione alla procura e quindi la contestazione del
reato – nonché una missiva indirizzata al proprietario
dell'appartamento, a firma di diversi condòmini, tesa ad ottenere un
intervento sul conduttore che esasperava il vicinato con la musica ad
alto volume.
Dall'esame dei testimoni, si evinceva che gli stessi
erano costretti ad allontanarsi dalle proprie abitazioni sia per poter
svolgere le proprie occupazioni (es. studio nel caso di uno studente
universitario), sia per riposare o anche solamente per sottrarsi al
frastuono. Secondo gli ermellini, tanto basta per considerare pienamente
provata la commissione del reato.
È scritto in sentenza, sulla scorta di altri precedenti, che il giudice di merito chiamato a decidere sulla condanna dell'imputato “non
è tenuto a basarsi esclusivamente sull'espletamento di specifiche
indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri
elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno
in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete” (Cass. pen. 29 dicembre 2016 n. 55096).